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Archive for the ‘La Vecchia’ Category

Roma col freddo, e le anziane che passeggiano lente in quel momento della giornata che pare il più propizio per tutto, scegliendo con instancabile cura il più bel mazzo di fiori finti da acquistre, è poesia.
Come se i fiori fossero diversi. Come non fossero finti e senza profumo. Come se fosse l’evento più importante della giornata – che poi, lo è.
Mentre penso che Roma in certi momenti dell’anno, col cuore e con l’animo allineati fra loro, è un gran bel posto per esserci, t’incontro per le scale.
Sei sempre più magra, e sempre più bella. Gli anni passano, e avrai superato i cinquanta, anche tua figlia se ne è andata di casa. Ha trovato l’amore, me lo disse venenedo a comprare dei mobili quando ancora lavoravo nella scatola giallablu. La vecchia ancora spettegola se riescano a vivere da soli, ché ogni tanto li vede salire da te.
Mi ricordo le pareti nelle stanze dei tuoi figli, colorate, armoniose, accoglienti, calde.
Mi ricordo tuo figlio.
Oggi, guardandoti per la prima volta dopo troppe volte in cui t’ho solo vista, ho capito che eri invecchiata. Ma non per l’età, né per i segni del tempo sul tuo viso – quanto sei bella, te l’ho mai detto? Sei invecchiata perché sei la madre di qualcuno che non ha più bisogno di te, di qualcuno che non c’è.
Mi ricordo tuo figlio.
Solo oggi ci ho pensato, a quanto m’imbarazzasse incontrarti con lui, ché non sapevo mai come comportarmi, se allungare una mano sul viso e fargli una carezza, se parlargli disinvolta, ignorando la sedia a rotelle. Eravamo coetanei. Lo saremmo ancora stati.
Solo oggi mi ricordo tuo figlio.
Tagliano i fondi alla salute, lo sai? Meno contributi ai malati di SLA. Ogni tanto ripenso al furgoncino che lo veniva a prendere per portarlo a scuola, e a te, che tutti i giorni aspettavi paziente in mezzo alla strada che lo riportassero indietro. Dalla mamma, dall’unica donna che sapeva come relazionarsi.
Oggi ripenso a tuo figlio, penso che avrebbe quasi 24 anni.
Penso che oggi gli parlerei, per raccontargli che schifo che stanno facendo lassù ai piani alti, e m’inventerei che noi giovani ci stiamo impegnando per combattere anche per lui e ottenere un presente migliore. Inventerei che non ci indigniamo soltanto a parole. Gli mentirei, dicendogli che presto cambierà tutto.
Mi ricordo tuo figlio. Ed è strano, mi manca.

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Succede così: torni dal tuo viaggio di laurea, torni con La Vecchia, la sister e la cugina, e tutto riprende la sua naturale quotidianità. Qualcosa l’hai lasciato lì per sempre (qualcosa che sotto, sotto ha a che fare con una certa ingenuità), qualcosa te lo sei portato dietro. Ma tanto ci torni, si sa.

 

Nell’estrema tenerezza di una passeggiata a St. James’, sottobraccio a La Vecchia, mentre gli scoiattoli si rincorrono e la cugina urla di gioia ché non ne aveva mai visti, la sister tenta invano di catturare il momento con la sua videocamerina onnipresente. E tu, chissà perché, pensi a tuo nonno.
L’unico capace di amare qualsiasi western, unico nel suo lasciarsi coinvolgere anche dal più scontato B-movie poliziesco di seconda mano, quelli dalla patina ingiallita, i cui attori sono morti e stramorti, o forse solo semplicemente resi irriconoscibili da un invecchiamento cui non sanno rassegnarsi.
E di tutta quella natura che ti circonda, di tutto quel flusso d’amore che ti trascina manco fossi fatta d’acido lisergico, una voce orfana d’autore attraversa la testa:

Atteeeento. Attento che mo’ quello esce da dietro er muro e te spara

La voce del nonno che, esperto del genere, prevede in anticipo le mosse dei nemici e tenta, convinto forse di essere anche lui su un flusso catodico capace di farsi veicolo di pensieri per osmosi, di mettere in guardia lo sceriffo. Quello mica l’ascolta, s’avvicina al muro, e gli sparano.

 Te l’avevo detto, io

Me l’aveva detto, lui. 

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