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Archive for the ‘Superbowl’ Category

Quando s’insinua quella particolare sensazione che la sottoscritta si ostina a denominare “sento-che-gli-altri-sanno-qualcosa-che-io-ignoro”, l’unico rimedio per annientare la sua persecuzione è cederle. Della serie: “Forza, su, sto sventolando bandiera bianca: che succede?”.

Fondamentalmente, poi, io le odio ‘ste situazioni. Quelle nelle quali non sei tu a decidere quali messaggi recepire, quali poter rifiutare, dico. E non c’è maniera peggiore di entrare in contatto con informazioni indesiderate, se non quella di piazzarsi davanti alla propria tazza di caffellatte, nel vano tentativo di immergere una fetta di pane tostata e smarmellata, e (qui viene il bello) con la televisione accesa. Bastardi, nel momento di maggiore vulnerabilità: la mattina, quando non riesci a concepire neanche una formula di rigetto. Nulla. Passivo.

 Fortuna che, alla fine, non ho trovato ad attendermi uno di quei programmi del sabato mattina – quelli che hanno contribuito ad inventare la figura “professionale” (!) dell’opinionista, per intenderci; quelli che si ostinano a chiamare un surrogato di voce fuoricampo “Il Comitato” (!), e che, di sottofondo, emanano attraverso il tubo catodico fastidiosissime richieste di “un aiutino, signor Carlo, piccolopiccolo!”. E non bestemmio che son atea.
Fortuna, dicevo, che la televisione della mia cucina era sintonizzata su RaiTre, e che (duplice botta di culo) la mattina del sabato trasmettano un programma dal titolo “Tv Talk”, tutto sommato piacevole, sicuramente non fastidioso.*
Tra i mille argomenti d’obbligo affrontati quest’oggi – ho iniziato a connettere il cervello quando si parlava del Morgan-omane Marco Castoldi –, ecco spuntare inevitabilmente un riferimento all’ultima serie di “Lost”, noto telefilm dell’ultimo decennio.
Per mesi, nonostante pareri fidati e giudizi positivi, mi sono rifiutata categoricamente di farmi trascinare nel mondo del suddetto, un po’ per finte tendenze radicalchic, un po’ perché ho sempre creduto poco in ciò che crea “fenomeno” ed è universalmente ritenuto tale. Tutt’ora continuo a farlo, per altro. Ma, riflettevo tirando giù tutti i santi dal calendario per via di un pezzo di toast sprofondato sul fondo della tazza, io non ho mai effettivamente saputo di cosa si tratti. Non ho mai capito, al di là del banalissimo espediente della caduta dell’aereo che trascina avanti il film, che cazzo di messaggio viene effettivamente veicolato da quattro dementi su un isola (e, perdonatemi, siccome di gente famosa su isole non mi son mai fidata troppo, parto anche sensibilmente prevenuta, lo ammetto). Eppure, questa mattina sono stata travolta da numeri e statistiche che mi hanno lasciata esterrefatta (e, visto l’andazzo che han preso di recente le battute satiriche a causa di Morgan e cocaina, potrei anche aggiungere “più fatta che esterre”): la sesta ed ultima serie di Lost (mi lascio per lo meno consolare dal fatto che abbia una fine, al contrario di beautifuliani parenti) ha riscosso un successo senza pari negli States, dove proprio nel corso di questa settimana è stata trasmessa la prima puntata. Per l’occasione – e qui torna la dimensione economico-mediatica che assai poco sopporto – circa dodicimila fortunati sono stati invitati ad una prima di tutto rispetto: direttamente alle isole Hawaii, per intenderci, dove, ho scoperto essere ambientato l’intero telefilm.
Per di più, alcuni dei suddetti fortunati, scorretti e menefreghisti, hanno opportunamente registrato il tutto con una videocamera, per poi, ovviamente, consentirne il download via internet (faccio presente che, solo due ore dopo il suddetto evento, in Italia erano già presenti versioni sottotitolate della prima puntata, per merito – o colpa? – di diligentissimi subber).
In effetti, ricordava il prof. Daniele Doglio, il business costruito intorno a “Lost” è in qualche caso deficitario ed insoddisfacente: dei circa 60 milioni di spettatori dichiarati, 54 ammettono di aver seguito la serie attraverso canali illegali, quali lo streaming o il download non autorizzato, mentre solamente 4 milioni sono risultati disposti a spendere l’irrisoria cifra di 1,99 dollari (se non erro) a puntata per accedere ad una visione consentita.

 È pur vero, però, che i Lost-omani non sono disposti ad essere etichettati come traditori della fede, come pagani maledetti da Abram, Lindelof e Lieber (n.d.a. Gli ideatori, per intenderci). I cazzutissimi americani non tradiscono! I cazzutissimi americani resistono e si rifiutano di scaricare via internet puntate non ancora trasmesse. Loro sono i diretti discendenti del Patriota, cazzo, mica pizza e fichi! Resistono o acquistano (e consumano). Non cedono alle tentazioni. La maggior parte degli intervistati ha dichiarato che, in effetti, la prima televisiva dell’ultima stagione è quasi un evento, la vigilia della risoluzione di tutti i misteri che da sei lunghissimi e spossantissimi anni li travagliano, non gli lasciano tempo per dormire o riposare. Loro attendono in silenzio e religiosamente si dedicano a visioni di gruppo (che, se non ricorda in qualche modo culti specifici, per lo meno rimanda all’aggregazione di sette sataniche a sfondo sessuale).

Vero è che, come me, di scettici ce ne son molti.
Vero è altresì che la curiosità, alla fin fine, è montata anche a me.
Ho deciso che a breve mi dedicherò alla visione del suddetto telefilm, per lo meno per potermi dedicare ad una critica fondata su principi empirici.

A breve, sì, ma non ora, ché c’ho da tifare i Saints al superbowl, che cristo, mica le bambinate!

 

*L’asterisco apre qui una parentesi per chi non conoscesse già il programma: si tratta di uno show-magazine, se così lo si può definire, patrocinato da Rai Educational. La conduzione del suddetto è affidata a Massimo Bernardini, il quale è sempre accompagnato dal commento in studio di Giorgio Simonelli, docente all’Università Cattolica di Milano, scaltro, acuto e divertente nei suoi interventi, e dal prof. Daniele Doglio, implicato, invece, nelle dissertazioni intorno al mondo dell’economia; e dal contributo degli inviati da Londra Barbara Serra (già anchor woman di Al Jazeera), e da New York, Franco Schipani. Il pubblico, nota interessante, è costituito da laureandi/laureati in Comunicazione, competenti e preparati, nonché disincantati osservatori del mondo della televisione. È proprio quest’ultimo, in gran parte, ad essere indagato, nelle sue mille sfaccettature e con le sue particolarità; attraverso un filtro piuttosto critico, ci vengono presentate buone e cattive proposte, analizzando e sviscerando le minuzie della settimana televisiva. Vivamente raccomandato (‘nsomma, è pur sempre sabato mattina!).

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